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Fatto lo smart working ora facciamo i manager

Smart working o lavoro agile come viene anche definito, fino a qualche mese fa era sinonimo di freelance, quella categoria di lavoratori sempre in movimento, perfetti per le pubblicità di smartphone e tablet, i fantomatici quanto invidiati “creativi digitali”.  Con l’entrata in vigore dell’articolo 4 della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), ora molti italiani si scoprono idonei e arruolati, alle volte in modo un po’ coatto, allo smart working.

Smart working: scelta obbligata

La riduzione dei costi è il motivo principale che spinge tante aziende italiane a scegliere la strada del lavoro agile per i propri dipendenti. I vantaggi sono però subito evidenti per quelle aziende che lo hanno già scelto riscontrando sia aumento di produttività, sia una sensibile riduzione delle varie forme di assenteismo. Nelle grandi multinazionali straniere lo smart working è stato spesso affiancato a scelte più etiche, legate a politiche di salvaguardia dell’ambiente e alla riduzione dell’inquinamento, oltre naturalmente a uno sgravio non indifferente di costi energetici, affitti, rimborsi spese e così via. Si tratta però di paesi in cui i prodotti, di qualunque natura si tratti, nascono spesso già digitali,  sia che si tratti di PA sia di industria e terziario. In Italia siamo purtroppo per molti aspetti ancora alle prese con l’informatizzazione, a cui segue, solo dopo alcuni anni, la digitalizzazione. Lo sforzo che devono affrontare le aziende italiane, in alcuni casi, è quindi doppio.

Fatto lo smart working ora facciamo i manager

Volendo stilare una classifica di criticità nel passaggio da lavoro a posto fisso (nel senso della scrivania) a quello agile, quello della formazione del personale dirigente è senza dubbio al primo posto. All’interno delle aziende italiane si trovano spesso manager “vecchio stile”, e magari non per l’età anagrafica, abituati da sempre a un controllo quasi fisico del dipendente.

Volendo utilizzare un sillogismo calcistico diciamo che al manager moderno viene ora richiesto di passare dalla marcatura a uomo, alla Trapattoni per intenderci, a quella a zona, stile Sacchi. Si tratta per il top management, HR e facility manager di formare una nuova classe di coordinatori o, nella maggior parte dei casi, di aggiornare quella presente con un forte orientamento alla tecnologia e all’uso della medesima. Per le aziende di formazione si tratta sicuramente di un settore molto interessante, in cui le odierne soluzioni digitali possono sposarsi perfettamente con le necessità delle medie e grandi aziende. Top management ed HR dovranno poi valutare nuove forme di “controllo” così come metodologie di valutazione e incentivazione del collaboratore, che dovrà essere incoraggiato a raggiungere obiettivi differenti rispetto alla normale attività lavorativa svolta in ufficio.

Smart working: l’email non basta più

Le fasi in cui dividere un progetto di smart working applicabile in un’azienda di medie dimensioni sono sostanzialmente queste:

  1. Introduzione del progetto di lavoro agile a top management, HR, facility manager (analisi della struttura e policy organizzative)
  2. Sviluppo di modelli operativi, livelli di interazione e comunicazione (eventualmente con il supporto di consulenti esterni)
  3. Introduzione dei modelli operativi e formazione sulle tecnologie necessarie al personale selezionato (utilizzo degli applicativi enterprise da remoto e nuove piattaforme di condivisione)
  4. Selezione di “facilitatori” per l’applicazione della fase operativa (test con 1/2 giorni alla settimana prima del passaggio a periodi più lunghi)
  5. Riorganizzazione degli spazi lavorativi con postazioni condivise, soluzioni di hoteling e hot-desking

Si tratta quindi un percorso sicuramente non breve e agevole per quelle aziende che fin ad ora hanno utilizzato l’email come massima espressione di coordinamento e controllo tra dirigenza e collaboratori. Questi ultimi dovranno necessariamente essere coinvolti maggiormente nei processi decisionali. Servizi e strumenti di social collaboration, accesso in mobilità e soprattutto security access sono indispensabili per il corretto sviluppo dello smart working. Se le grandi aziende da questo punto di vista sono già in fase avanzata, ancora molto devono fare le PMI, frenate spesso da budget e know how insufficienti.

Smart working: pericolo BYOD

Delegare il collaboratore all’utilizzo di propri device per il collegamento alla rete aziendale è quanto di più pericoloso si possa ipotizzare. Reti e sandbox protette devono consentire al lavoratore di smart working di potersi collegare in tutta sicurezza utilizzando però dispositivi come notebook e smartphone esclusivamente aziendali. Remote wipe e servizi di blocco sono necessari in caso di furto dei device in possesso del lavoratore. Anche in questo caso per le aziende meno strutturate è preferibile rivolgersi a sviluppatori e formatori esterni piuttosto che incaricare il mal capitato responsabile IT di sviluppare conoscenze di cyber security in poche ore.

Lo smart working è quindi un passaggio decisivo per molte aziende italiane, che porterà non solo benefici all’interno sistema paese dal punto di vista della riqualificazione del personale ma anche a quello della società, attivando, è la speranza, una nuova consapevolezza sugli stili di vita sostenibili.

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